L’utilizzo di robot in ambienti domestici non ha avuto, fino ad oggi, molta fortuna. Gli unici esempi sono i cani cibernetici (Aibo,DogRobot). Ma quali sono le difficoltà che incontrano gli scienziati ( tralasciando i costi ) ?
A differenza del mondo industriale, l’ambiente domestico risulta vario e mutevole: un robot deve essere in grado di salire e scendere scale, non
inciampare nei tappeti né sbattere sui muri e sporgenze, ma anche gli
stessi oggetti possono essere spostati e occorre portare in conto le
persone che girano per la casa.
Non è quindi possibile mappare staticamente l’ambiente per i movimenti del robot. Contemporaneamente il robot dovrà interagire con uomini e dovrà quindi muoversi nel rispetto della sicurezza ( un robot può sviluppare una forza tale da procurare danni alle persone e la stessa modulazione della forza è un parametro di non facile implementazione).
Un robot che lavori in ambienti antropici non potrà operare in maniera statica e predefinita ma dovrà pianificare gli obiettivi in real-time verificando lo status quo momento per momento.
Il metodo dei campi di potenziale assegna un campo ad ogni ostacolo e obiettivo: il robot dovrà agire all’esterno dei campi di potenziale degli ostacoli (campo repulsivo) o essere attratto dal campo dell’obiettivo ( campo attrattivo).
Tutto questo andrebbe bene se schematizzassimo il robot come un punto. Ma un robot ha una propria forma ( peraltro non fissa). Esistono punti della
struttura (sporgenze, motori.) che possono essere pericolosi per un essere umano. La pianificazione delle traiettorie va quindi effettuata
in tutti i punti “critici” della struttura.
Supponendo di lasciare come vincolo principale il conseguimento di un dato compito, esisteranno più vincoli secondari secondo un ordine di priorità. In prima istanza, l’ordine può essere deciso a priori: una volta scelti i VEE, al punto a priorità minore verrà assegnata una certa traiettoria. Una volta tradotta questa traiettoria dallo spazio in tre dimensioni in termini delle variabili di giunto del manipolatore, queste diverranno vincoli secondari per il VEE successivo in termini di priorità (in pratica, grazie alla ridondanza, la soluzione per il secondo VEE si avvicinerà “quanto più è possibile” alla soluzione del primo VEE). Questo si itera fino al punto a priorità maggiore (ossia l’organo terminale che deve eseguire il compito).
Ma non è detto che l’ordine di priorità sia deciso a priori: in casi pratici può essere risolto in real-time. Un obiettivo secondario può divenire primario in caso di necessità: una parte del robot che sta per urtare contro un ostacolo impone un cambio della traiettoria per cui il movimento del manipolatore che agisce sulla sporgenza che potrebbe urtare diventa primario finché non viene superato l’ostacolo.
L’algoritmo di decisione della traiettoria avrà un obiettivo primario ( il lavoro da compiere: l’ arrivo in un punto, il trasporto di un oggetto, etc) e degli obiettivi secondari che regolano i movimenti della struttura robot. Ma come gestire un obiettivo secondario a partire da uno primario o più in generale come gestire un movimento avendo come vincolo un altro
movimento della struttura? Ricercatori dell’Università di Napoli propongono l’utilizzo della ridondanza funzionale.E’ possibile sfruttare la ridondanza per imporre come vincoli secondari traiettorie opportune ad ogni punto critico (effettori virtuali multipli,VEE ) Un manipolatore viene detto funzionalmente ridondante quando possiede un numero n di gradi di mobilità maggiore del numero r di variabili necessarie alla caratterizzazione di un dato compito.
Sidney (Australia) - Di questi tempi persino scherzare è pericoloso, anche se lo si fa tra amici e soprattutto se per farlo si utilizzano sistemi di telecomunicazione facilmente intercettabili. Almeno questo è quanto si potrebbe dedurre prestando orecchio ad una vicenda accaduta in Australia. Stando alla ricostruzione fornita dalle autorità, che omette una serie di particolari indispensabili per capire a fondo la dinamica della vicenda, la polizia ha provveduto all'arresto di un uomo di 35 anni che in un SMS inviato ad un altro numero di telefonia mobile, forse quello di un amico, ha scritto che a bordo di un aereo di Air New Zealand che doveva arrivare ad Auckland si trovava una bomba. Una boutade, evidentemente, uno scherzo, una battuta che tra conoscenti può accadere di fare con leggerezza, ma è una battuta che deve aver messo in allarme i sistemi di intercettazione dell'intelligence australiana. Una forma di controllo dei messaggini scambiati sui network di telefonia mobile, forse per parole chiave, è probabilmente dietro la tempestività con cui la polizia si è messa in moto. Le informazioni disponibili affermano infatti che, una volta intercettato il messaggio, la polizia abbia individuato l'uomo proprio grazie al suo numero di telefonia mobile e lo abbia arrestato poco dopo la spedizione dell'SMS. Se quanto riportato dalle agenzie internazionali è vero, e cioè che quel messaggio non è stato spedito alle autorità aeroportuali in guisa di rivendicazione terroristica ma che si è trattato solo di un SMS spedito ad un altro utente wireless, appare del tutto incomprensibile la decisione della magistratura australiana di inquisire ufficialmente l'uomo per suscitato allarme.
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